le priare di Zovencedo e San Gottardo e i laboratori artigianali dei maestri scalpellini di Grancona
La pietra 'dolce' dei Berici è conosciuta fin dall'antichità, particolarmente adatta alla lavorazione di fregi e statue raffinate.
Si tratta di calcare tenero molto compatto e uniforme di colore biancastro o leggermente rosato, depositatosi nelle ultime fasi di sedimentazione della piattaforma Lessino-Berica, prima dell'inizio del corrugamento alpino (Eocene, circa 60 mil. anni).
Le cave più note sono quelle di Nanto, attive già in epoca romana.
L'architettura della Vicenza romana è in gran parte opera degli scalpellini e cavatori di Nanto.
Il momento di gloria si ebbe nel rinascimento dell'epopea veneziana, quando la pietra è stata protagonista di sculture e architetture nelle ville di campagna e nelle città di Vicenza e Padova ed anche a Venezia.
Di quel periodo la mitica adolescenza di
Andrea di Pietro della Gondola, poi noto nel mondo come il 'Palladio' icona della civiltà della villa, scalpellino nella bottega dello scultore padovano Bartolomeo Cavazza da Sossano.
L'attività estrattiva sul versante della Val Liona è, invece, più recente causa la natura più aspra, il maggior isolamento e le conseguenti difficoltà logistiche.
Nelle cave dell'alta Val Liona a Zovencedo, San Gottardo, valle del Gazzo, l'estrazione è iniziata dalla metà ottocento e fortemente valorizzata per buona parte del novecento, con una vera e propria cultura dei cavatori.
Gli scalpellini operavano prevalentemente nei laboratori del fondovalle a Grancona (Pederiva, Spiazzo), con produzioni di notevole fattura artistica e l'opera di valenti maestri tramandatasi fino ai nostri giorni.
La pietra di Zovencedo è chimicamente leggermente diversa da quella di Nanto.
Da notare l'assenza di silice, perciò i lavoratori non erano esposti alla silicosi.
Le cave sfruttano le poche decine di metri di 'potenza' (spessore) utile della roccia, che si trova poco sotto il colmo dell'altopiano Berico, formando dei filoni molto caratteristici localmente denominati 'Sengi'.
Pertanto si sviluppano generalmente in caverna, con diramazioni anche di diverse centinaia di metri seguendo gli strati più pregiati.
Il lavoro di scavo, fino a tempi molto recenti, è avvenuto a mano evidentemente con tanta fatica e notevolissima maestria, con ritmi e sequenze di lavoro ben precise.
Sbagliare significava esporsi a rischi pericolosissimi e l'abbandono di filoni di roccia pregiata.
La prima fase di apertura di una nuova cava consisteva nello sgrezzare la roccia affiorante del 'Sengio' per permettere una specie di porta verso l'interno degli strati rocciosi.
Mano a mano che si estraeva materiale veniva a formarsi una galleria della quale, procedendo lateralmente e prelevando altro materiale, rimangono grandi stanzoni intervallati da possenti colonne di materiale non cavato allo scopo di sostenere la volta del soffitto.
I blocchi di roccia estratti erano parallelepipedi di due metri cubi lunghi due metri.
Si lavorava con un picchetto a due punte usando attrezzi dal manico di legno via via più lungo (fino ad un metro), scavando da prima una canaletta superiore larga 15 centimetri sufficente al passaggio del braccio del cavatore che lavorava disteso sull'impalcatura, quindi le canalette laterali ed inferiore.
Il tutto al semibuio dell'umida caverna illuminata dalle lampade a olio o a carburo.
A quel punto s'introducevano dei cunei di legno che inumidendosi si dilatavano oppure si battevano con la mazza cunei di ferro, facendo staccare il blocco, detto la 'tirada'.
Era la volta dei trasportatori, mestiere non meno faticoso e pericoloso.
Dapprima il blocco di pietra veniva portato all'esterno della cava con manovre di leve e binde e facendolo rotolare sopra tronchi di albero, quindi caricato su pesanti carri trainati da buoi (con gioghi anche a sei coppie) e con difficoltose manovre per frenare la discesa.
Il alcuni casi il blocco si faceva scendere per un ripido scivolo selciato lungo il fianco del colle.
A metà della valle di Gazzo si trova il Capitello dei cavatori, con Santa Barbara protettrice dei minatori e dei pompieri.
Il lavoro nei laboratori degli scalpellini avveniva con l'ausilio di grosse seghe a mano, manovrando con la binda.
Via via con la mazzetta con subbie (punteruoli) e scalpelli.
Era la volta del maestro scalpellino che finiva il lavoro con la martellina, la rasara (una specie di pialla) e numerose raspe.
Alcune lavorazioni richiedevano la levigatura finale molto fine che si compiva sfregando pietre di pomice.
Testimonianza di questo duro lavoro rimangono le grandi gallerie di scavo.
Sono luoghi lugubri e spaventosi, tuttavia rilasciano magiche atmosfere di fascino ed emotiva suggestione.
I segni dello scavo a mano, con le tracce delle martelline e degli scalpelli, formano interessanti sequenze di disegni geometrici, in particolare nei soffitti.
Vere e proprie opere di arte astratta.
I pilastri di sostegno delle volte suddividono aule ed ambienti da magico percorso labirintico.
laboratorio e piccolo museo di scultura
La
scuola media di Grancona ha istituito una interessante e originale attività didattica con un laboratorio di scultura, allo scopo di far conoscere, e tramandare, ai ragazzi l'antico e nobile mestiere dello scalpellino, attività diffusissima in tutta l'area berica e in particolare a Nanto e a Grancona.
Il laboratorio stesso e le opere dei ragazzi, davvero molto belle, sono esposte a formare un
piccolo museo della scultura e dello scalpellino.
Vi sono foto d'epoca e illustrazioni sulla tecnica di lavorazione della pietra dolce dei Berici.
nota importante
Ben visitabili, ed interessanti, sono la cava-museo e la vicina 'casa rupestre' che si trovano a qualche centinaio di metri dalla chiesa di Zovencedo, lungo la strada che scende a Grancona.
Cartello indicatore e parcheggio lungo la strada, un centinaio di metri da farsi a piedi.
La visita è molto interessante.
Nello spazio museale all'interno della cava si tengono saltuariamente manifestazioni artistiche e convegni.
La maggior parte delle cave abbandonate sono
private e difficilmente visitabili, con gravi problemi di sicurezza.
Si deve pertanto chiedere in loco e contattare proprietari e/o responsabili comunali e pro-loco.