Gli edifici con il frontone 'a gradoni', testimonianze di architettura rurale spontanea nel bellunese
introduzione
Diversi motivi mi spingono a ritornare sull'argomento (1).
E' l'occasione per invitare quanti amano i luoghi 'diversi' ad andare a vedere queste particolari architetture.
Questi edifici hanno di speciale il fatto di avere il frontone del tetto a gradoni.
Si tratta di un tipo edilizio diffuso in varie zone di montagna.
Sono state rilevate costruzioni con queste caratteristiche in vari parti d'Europa; si va dalle Alpi italiane all'Appennino, dalle Alpi francesi e ai Pirenei.
E' sorprendente rilevare come abitanti di montagne diverse e distanti tra loro, abbiano adottato la stessa forma architettonica, per dare soluzione al problema derivato dall'impiego della paglia e della pietra nelle costruzioni.
Com'è facilmente comprensibile, si parla di modeste costruzioni, sparse in luoghi spesso isolati o poco raggiungibili, e per questo rimaste fedeli al loro tipo originario.
Esse sono parte di quella cultura popolare che si manifesta con il linguaggio dell'architettura spontanea.
Espressioni, libere dai condizionamenti normativi e da qualsiasi regola imposta, dove lo stesso soggetto umano è tutto: ideatore, costruttore e utilizzatore.
Nel Veneto la presenza di questi edifici è stata rilevata in maniera più o meno consistente, nell'area bellunese-feltrina: nella conca dell'Alpago, nelle prealpi bellunesi, (Nevegal, Poiate, Praderadego), nel Sovramonte e in quella contermine friulana della valle del Vajont (Erto e Casso).
origini
La domanda che per prima ci si pone, è: 'ma da cosa nascono questi frontoni del tetto a gradoni?'.
Secondo qualcuno, ma la cosa non è dimostrata, e partendo dalle costruzioni dell'Appennino modenese, si potrebbe trattare di una testimonianza celtica (2), legata ai tempi in cui questo popolo si diffuse sul territorio.
Su come e perché dovrebbero essere stati i Celti a introdurre questo tipo edilizio, non viene chiarito.
Da noi dei Celti rimane traccia nei nomi di varie località del bellunese, e celtico sarebbe anche il toponimo della stessa città di Belluno (città splendente).
Ma questo non può essere sufficiente per sostenere l'origine celtica delle costruzioni in questione.
Secondo altri il caratteristico frontone sarebbe dovuto a un'influenza culturale di origine centro-nord europea, verificatasi in particolare nella zona della Valbelluna e del feltrino.
In queste aree del bellunese si sono incontrate due culture diverse, quella germanica e quella latina, e per diversi fattori, non da ultimo anche per condizioni climatiche (3) simili, sarebbe stata introdotta, dapprima in modo sporadico, questa tipologia edilizia tedesca.
Questo processo di 'germanizzazione', del territorio si sarebbe poi consolidato, anche attraverso la diffusione in modo massiccio di queste costruzioni, nel XIV secolo.
Da queste vicende storiche nascerebbero gli edifici dai frontoni a gradoni (4).
Si tratterebbe di una notevole eredità culturale concentratasi in un brevissimo arco di tempo e sarebbe pure la dimostrazione di una volontà di colonizzazione culturale, da parte imperiale, e capacità edificatoria diffusa straordinaria.
Nel 1797 per Venezia è la fine, viene occupata dai soldati di Napoleone Bonaparte.
Nello stesso anno cadono anche Belluno e Feltre, dopo quasi quattro secoli (eccetto un breve periodo che va dal 1411 al 1420 e il periodo della Lega di Cambrai 1508 -11), di appartenenza o dominio a seconda dei punti di vista, alla Repubblica di Venezia.
Pur avendo circa quattrocento anni di tempo a disposizione, la Serenissima, non ha condizionato, volutamente per scelta o altro, l'architettura rurale popolare della montagna veneta.
In altre aree del Veneto dove si sono insediate genti provenienti dal nord Europa (Lessinia, Altipiano dei Sette Comuni) cimbri (con qualche riserva) e con certezza tedesco-bavaresi (5), non vi sono tracce e testimonianze di questa particolare tradizione costruttiva.
Lo stesso dicasi per quelle zone remote delle Alpi Liguri e degli Appennini dove invece la 'germanizzazione' non può esserci stata (la 'celtizzazione' da parte dei Celti invece sì), e vi si trovano comunque edifici molto simili, per non dire uguali, a quelli con i frontoni a gradoni del bellunese.
Riguardo alla tesi, sostenuta da qualcuno, che i gradoni venissero fatti per la costruzione e la manutenzione del tetto, basta una semplice considerazione.
In una realtà, quella della montagna, dove tutto era essenziale e doveva avere caratteristiche di durata, non si può immaginare che la tecnica costruttiva dei frontoni a gradoni dovesse servire a questi scopi.
Le costruzioni avevano caratteristiche tali da consentire la loro massima durata, ed erano il frutto di una cultura secolare che aveva selezionato i tipi edilizi migliori, compatibilmente con il materiali a disposizione.
Non erano le casette dei 'tre porcellini' della favola per bambini.
Le coperture in paglia non potevano essere un qualcosa d'instabile e precario.
Le energie maggiori non dovevano ne potevano, per ragioni di sopravvivenza, venir impiegate per correr dietro alle manutenzioni dei tetti.
La vita di un tetto di paglia o canna non era neanche poi così breve.
Condizionarne la costruzione realizzando i gradoni, perché si doveva intervenire continuamente sulla copertura, non appare realistico.
E questo anche per quanto riguarda la sua fase costruttiva.
Il materiale paglia con il suo leggero peso (non si trattava certo coppi di misura e peso standard o di pesanti lastre di pietra), non richiedeva l'impiego, in associazione con la parte muraria a gradoni, di particolari attrezzature, poiché il peso maggiore che doveva essere sostenuto in questa circostanza era quello dell'uomo.
Quanti poi andranno a vedere direttamente questi edifici potranno rendersi di persona conto di quanto sia difficile, se non impossibile in alcuni casi, salir sopra al tetto dai gradoni.
Pensare di potervi lavorare sfruttando il loro appoggio, è quanto mai azzardato oltre che rischioso per chi volesse realmente farlo...
materiali e tecnica
Quando si è cominciato a impiegare la pietra nelle costruzioni rurali minori e si è continuato a mantenere il tetto in paglia o in canna palustre (come manto di copertura su struttura portante in legno), si è dovuto pensare a come proteggere dal vento d'infilata la copertura.
E allora la soluzione più semplice che è stata trovata è stata quella di rialzare i frontoni del tetto.
Partendo dall'esperienza della costruzione dei muri a secco, si era imparato che salendo con il timpano, restringendo man mano i corsi dei blocchi di pietra, si andavano a formare naturalmente dei gradoni.
Da notare l'estrema vulnerabilità dei muri a secco alle infiltrazioni, specialmente nelle teste, d'acqua.
Lasciamo immaginare i danni conseguenti all'incontrollata penetrazione dell'acqua all'interno dei locali.
Nella cattiva stagione poi l'acqua, anche quella proveniente dalla fusione della neve, diventava ghiaccio.
Con la conseguenza che quest'ultimo avrebbe sconnesso, dissestato, rotto la costruzione.
In pochi anni sarebbe andata distrutta l'opera dell'uomo.
Questi gradoni, andavano quindi ben protetti nella loro parte superiore, e il modo più semplice per farlo era quello di posarvi sopra una lastra di pietra a mò di cappello.
Mettendola anche inclinata, si facilitava lo scolo dell'acqua e della neve.
Giocava un ruolo determinante nella scelta del fare i gradoni o meno, l'apertura dell'angolo che era stato dato al tetto.
In altri casi pur impiegando sempre la pietra e la paglia, si faceva comunque il frontone rialzato, ma con il piano superiore inclinato continuo, sul quale si posavano le lastre di protezione.
Ciò era possibile perché il frontone era di tipo aperto, quindi con un angolo del tetto relativamente ampio.
Frontoni troppo chiusi non avrebbero consentito la posa, in semplice appoggio, di lastre lungo la linea inclinata.
Da qui nasce anche la necessità di 'spezzettare' la linea della falda costruendola a gradoni.
In conclusione questa forma edilizia particolare è nata dall'unione e dall'impiego, di materiali aventi caratteristiche diverse, che genialità dell'uomo di montagna ha saputo prendere e piegare ai propri bisogni.
Partendo dalla necessità naturale, di avere uno spazio chiuso intorno sempre più solido, sicuro e duraturo, normale evoluzione di altri modi di costruire, che si è giunti a questo risultato.
E questo indipendentemente dai luoghi in cui le persone vivevano, perché in fondo le montagne sono un terreno di lavoro e di vita che presenta le gli stessi identici problemi in qualsiasi parte della terra.
luoghi di maggior interesse
Tra le varie aree del bellunese dove sono presenti queste costruzioni, segnalo alcuni luoghi che ritengo interessanti e meritevoli di essere visti.
In Alpago le località di Chies, San Daniele, Funes, Tambre, Borsoi; nelle prealpi bellunesi quelle del Nevegàl-Pian Longhi, Praderadego, Poiate; nel Sovramonte il vallon di Aune loc. Orza, Zorzoi-Col dei Mich e Col Fariet.
Non mi dilungo oltre riguardo al loro raggiungimento.
Con una buona carta da escursionisti, la copia delle foto allegate al testo e qualche informazione assumibile sul posto, non sarà difficile trovare quanto indicato.
E' da tener presente che le foto sono state fatte in anni (indicati su ogni foto) diversi e quindi quanti andranno a cercare questi edifici potrebbero scoprire che oggi la situazione non è più quella documentata.
Ma il bello della ricerca è anche questo.
conclusione
L'abbandono della montagna ha fatto perdere la cura per tutte quelle strutture funzionali ad un economia che non esiste più.
La cultura acquisita attraverso l'esperienza di generazioni di uomini che abitavano in montagna, è stata in gran parte perduta.
Ora resta poco di queste testimonianze d'ingegno montanaro e quel rimane sembra destinato a scomparire.
Gli interventi fatti per mantenere queste costruzioni hanno visto impiegare, salvo in qualche caso, materiali eterogenei che poco o nulla hanno a che vedere con la tradizione.
Rimedi certo di necessità, soluzioni tampone, economiche e minime, dovute allo scarso valore forse attribuito agli edifici, esempi obsoleti di attività arcaiche.
D'altro canto l'abbandono da parte dei residenti e la mancanza di una cultura della conservazione spalanca le porte agli interventi di quanti, estranei ai valori della montagna, vogliono modernizzare.
In altre parole da un lato c'è poco o nessun interesse a continuare a tener in piedi gli edifici, che tra l'altro richiedono spese non sostenibili o scarsamente motivabili, e per questo non certo condannabili.
Dall'altro si corre il rischi di distruggere o snaturare in altro modo queste testimonianze, giustificando il tutto con fini poco nobili.
In ultima analisi, quindi se si vuole salvare questa forma di architettura rurale minore, non resta che dedicarsi, quanto più possibile, a far conoscere la sua esistenza e a stimolarne lo studio.
Per chi invece vuol far qualcosa di concreto, dar la propria disponibilità ad avviare e sostenere il loro recupero.
- testi e foto di Claudio Fasolo
note
- C. Fasolo - Una tipologia edilizia della montagna bellunese in Le Dolomiti Bellunesi, anno VIII n. 14 - 1985 pagg. 58-65.
- G.B. Minghelli - Capanne Celtiche sugli Appennini, in Geodes, anno II n.2 - 1980 pagg. 73-79;
- M. Vedana e altri - Malghe e casère a gradoni tracce di matrici culturali germaniche nell'architettura tradizionale, sta in Insediamenti temporanei nella montagna bellunese, Feltre 1997, pagg. 157-158;
- M. Vedana e altri - Malghe e casère a gradoni - op.cit., pag.159;
- P. Righetti - L'architettura popolare nell'area dei Cimbri,Giazza-Verona, 1989, pagg 29-30;