Palazzo della Ragione, piazza delle Erbe, piazza della Frutta, il Salone
E' uno dei più insigni palazzi pubblici dell'epopea medioevale-comunale.
Dopo tumultuose vicende tra le città della grande pianura padana e l'Imperatore Federico Barbarossa, la Pace di Costanza (25 giugno 1183) sancisce, di fatto, l'autonomia delle più importanti città che provvedono immediatamente a dotarsi di propri statuti e a proclamarsi libero comune.
Padova, filoguelfa, è tra le città più aggressive e solerti a creare le strutture di governo e di sviluppo urbano e cittadino, e ha come motore la spinta dell'imponente sviluppo artigianale e commerciale che poteva finalmente esprimersi a pieno regime dopo i secoli bui medioevali e i più recenti anni feudali, ancora all'orizzonte nella campagna veneta, ma pure ancora intersecati nella stessa comunità cittadina.
E' dei primi anni del duecento il vero boom edilizio pubblico.
Oltre ai numerosissimi edifici gentilizi, sorge l'Università, viene riadattato (su precedenti strutture) il palazzo comunale (non come lo vediamo attualmente) e, nel 1218, viene messa mano alla costruzione di un grande palazzo da adibire all'amministrazione della giustizia.
La città viene circondata da imponenti mura e nella campagna vengono erette fortezze quali la pregevolissima 'macchina' militare di
Cittadella
(1220) vero cardine e cuneo strategico soprattutto contro gli Ezzelini, vicari imperiali ed ancora molto temuti (Ezzelino III conquisterà la Padova comunale), assorbendo la vita civica di Onara (ora misero paesello di campagna).
L'imponente Palazzo della Ragione (termine attribuito in epoca veneziana) di Padova è un edificio a pianta trapezioidale dovuta ai vincoli di probabili canali d'acqua che attraversavano quelle che tuttora sono 'le piazze' e che già allora erano una sorta di vivace 'ipermercato'.
L'edificio si caratterizza per il grandioso salone interno di circa 80 metri di lunghezza per 27 metri di larghezza, coperto da una vertiginosa struttura lignea di forma ogivale alta quasi 40 metri. All'epoca della costruzione era la più grande sala coperta al mondo e doveva suscitare profondissime sensazioni di meraviglia nei visitatori o negli imputati ai processi che vi si tenevano.
I muri interni vennero affrescati nientemeno che da Giotto, impegnato nella Cappella degli Scrovegni (o forse il contrario, nel senso che era impegnato al Palazzo della Ragione e come secondo lavoro arrotondava presso gli Scrovegni), affreschi purtroppo distrutti nel furioso incendio del 1420, che ebbe vita facile nella gran mole materiale cartaceo e nei suppellettili lignei ed i numerosi 'paraventi' lignei che separavano le varie cattedre dei tribunali.
Leggenda vuole che l'incendio sia stato appiccato dagli stessi veneziani per cancellare le memorie del complesso gioco di forze che, da libero Comune, tirannia Ezzeliniana, Signoria Carrarese hanno portato la città alla dominazione veneziana.
Fu subito restaurato (1425), ma i preziosissimi affreschi andati perduti vengono ridipinti dal maestri Nicolò Miretto e Stefano da Ferrara con quel bellissimo ciclo, suddiviso in 333 riquadri su fasce sovrapposte, raffigurante i segni zodiacali ed i cicli astrologici, non ancora del tutto compreso nel suo significato complessivo, ed ispirato agli studi di Pietro D'Abano. Diverse sono le allegorie sulla giustizia, raffigurata da animali, e numerosi sono i richiami alla Serenissima rappresentata dal leone (nel 1420 Padova era già soggetta a Venezia). Numerosi, inoltre, sono gli orologi, le meridiane e gli strumenti di misurazione del tempo, famosa la diatriba con i professori di astronomia per un errore di misurazione nel raggio di luce di una meridiana.
All'esterno (1308) l'edificio viene ampliato con l'aggiunta di un portico-loggiato e (1433) due logge, contrafforti resisi necessari per sopportare le spinte statiche dell'imponente cupola. Prima dell'incendio del 1420 il tetto era a capriate e a spioventi, è di questa ricostruzione quattrocentesca l'affascinente linea ogivale del cupolone.
Il 17 agosto 1757 un furioso 'turbine' sconvolge il grande edificio distruggendone il tetto e scoperchiandolo. Bartolomeo Ferracina, orologiaio e ingegnere della Serenissima, più noto per la costruzione dell'orologio di Piazza San Marco a Venezia (autore anche di numerosi orologi di campanili dell'alta pianura, opifici, macchinari e la ricostruzione del
ponte 'palladiano' di Bassano del Grappa ),
provvide alla ricostruzione dell'imponente struttura e alla copertura con pesantissime lastre di piombo (e probabilmente con i fregi di abbellimento del cornicione).
Al grande salone si accede attraverso quattro scale dalle piazze (dove salivano gli imputati), denominate scala 'dei osei', 'dei feri', 'del vin' e 'dele erbe' per la vicinanza alle varie 'sezioni' del mercato, e da uno scalone, 'volto dela corda', dall'interno del palazzo comunale (dove salivano i giudici), attuale ingresso per i visitatori.
In epoca comunale doveva esistere un passaggio sospeso (sul genere del Ponte dei Sospiri a Venezia) che dalla piccola loggia portava al palazzo dirimpettaio adibito a prigioni (ora 'palazzo delle Debite', ricostruto maldestramente nell'800).
All'interno è conservata la 'pietra del vituperio' che tradizionalmente risale all'intercessione di Sant'Antonio (1231) e dalla quale scaturisce il motto 'restar in braghe de tea' (perdere tutti gli averi per compensare i debiti). Vi è inoltre murata una lapide tombale romana, all'epoca attribuita al poeta padovano Tito Livio. Spicca il grandioso cavallo ligneo, cinquecentesco souvenir di una giostra carnevalesca, donato nell'800 al Comune dai Conti Capodilista.