ex Villaggio Eni a Borca di Cadore, Corte delle Dolomiti
fotografie della chiesa Nostra Signora del Cadore
progettisti Edoardo Gellner e Carlo Scarpa - 1958
Il villaggio turistico di Corte (da Cortemaggiore, fulcro dell'attività estrattiva dell'Eni) a Borca di Cadore nasce per volontà di Enrico Mattei, carismatico e vulcanico presidente dell'Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) all'inizio degli anni '50.
L'idea era di creare un villaggio vacanza per 6000 persone dipendenti dell'Eni, dai dirigenti ai semplici operai, senza alcuna distinzione gerarchica.
La passione per le Dolomiti, nonché l'ampia disponibilità finanziaria di Mattei, si unisce alla genialità dell'architetto Edoardo Gellner che, scartando diversi luoghi più idonei nei pressi di Cortina, s'impegna in una sfida urbanistica in un'area degradata dalle frane dell'Antelao e quasi inospitale, sul versante sud del grande monte a Borca di Cadore.
Gli alti spalti ai piedi dell'Antelao, sopra il paese, erano infatti considerati quale una 'sassaia covo di vipere'.
Venne elaborato un progetto particolarmente ambizioso, con la riqualificazione naturalistica del sito e l'intervento architettonico di assoluta avanguardia con soluzioni tecniche nell'uso del cemento e concetti urbanistici-filosofici di eccezionale prospettiva.
Il progetto, che prese forma a metà degli anni '50, prevedeva villette singole raggruppate in piccoli agglomerati, una chiesa, una colonia per ragazzi, un piccolo campeggio con capanne di legno, un albergo, un 'centro servizi' all'avanguardia per l'epoca con tutti i servizi e le attrezzature tecnologiche comunitarie.
Delle 600 villette previste ne sono state realizzate 260, raggruppate in quattro zone, separate da fasce di bosco e raggiunte da apposite stradine.
Le casette rispettano tutte una specifica tipologia, concettualmente molto innovativa per l'epoca, minimalista ed ecologica si direbbe oggi, soprattutto per l'integrazione con l'ambiente risanato con vaste piantagioni di alberi d'alto fusto, all'ombra dei quali l'impatto edilizio praticamente sparisce.
Sono progettate su piattaforme che lasciano il piano terra, fortemente inclinato, libero a vista o, dove possibile, utilizzato come autorimessa.
La chiesa denominata Nostra Signora del Cadore, è un
gioiello dell'architettura sacra contemporanea che per gli studiosi e appassionati merita da sola il viaggio in Cadore.
La firma, assieme ad Edoardo Gellner, è del grande Carlo Scarpa, maestro indiscusso nel trattare il cemento armato lasciato a vista assieme a strutture in acciaio.
Caratteristica è la vertiginosa guglia, sottile ed altissima, che sostiene campane, campanelle, sfere e simboli religiosi.
Assieme al deciso sviluppo in verticale dell'edificio, contribuisce a sottolineare il valore di elevazione religiosa del complesso.
La copertura, a due falde fortemente spioventi, è a travature di legno ricoperte da 'scandole' d'acciao con inserti di ampie vetrate.
La maestosa struttura è trattenuta da un fitto reticolo di corde d'acciaio ancorate a originali 'scatole' di ferro annegate in pilastrini di cemento.
L'originalissimo pavimento è a rondelle di legno di larice annegate nel calcestruzzo e denotano la grande cura profusa anche nei minimi particolari di tutto l'edificio.
La luce all'interno penetra da due fronti: le falde del tetto e il timpano della facciata con travature verticali di larice.
La luce è soffusa e delicata e le aperture sulle navate laterali permettono l'apertura visiva sulla rigogliosa natura boschiva circostante.
Fu la prima chiesa costruita con l'
altare 'versus populum', vale a dire rivolto verso i fedeli, anticipando, e forse anche stimolando, le scelte avvenute successivamente con il Concilio Vaticano.
Dopo il periodo di splendore degli anni '60, gli anni d'oro del turismo cortinese dopo le Olimpiadi invernali,il villaggio venne via via trascurato e quasi abbandonato, perfino dimenticato dagli esteti dell'architettura.
Dai primi anni del 2000, con il radicale cambio di gestione, inizia la nuova riqualificazione, sfida non ancora del tutto vinta.
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