L'altopiano di Asiago è il più grande comprensorio di malghe dell'arco alpino, con 10.000 capi di bestiame e oltre 100 malghe con 11.000 ettari a pascolo.
L'alta qualità dei formaggi dell'altipiano è dovuta all'antichissima tradizione, alla straordinaria qualità dell'erba dei pascoli e al clima particolarissimo.
Il caseificio sociale cooperativo del Pennar di Asiago opera dal 1927 esclusivamente con latte dei produttori locali e delle malghe dell'altopiano ed offre un prodotto di altissima qualità. L'Asiago del Pennar è l'Asiago per antonomasia, l'autentico Asiago.
Il formaggio Asiago Dop - Denominazione d'Origine Protetta - comprende due qualità
- l' Asiago Pressato
- l' Asiago d'Allevo che si suddivide, a seconda della stagionatura in Mezzano, Vecchio e Stravecchio
Asiago Pressato
E' chiamato anche Asiago Dolce per suo delicato sapore di latte fresco.
E' un formaggio semicotto, non piccante, a latte intero con una breve stagionatura dai 25 ai 50 giorni.
Asiago d'Allevo
Si presta ad una prolungata stagionatura, quindi si può trovare il Mezzano - dai 3 ai 6 mesi di stagionatura -, il Vecchio - dai 6 mesi all'anno di stagionatura - e lo Stravecchio - oltre un anno di stagionatura -.
E' prodotto con latte scremato, a pasta dura ed ha un gusto deciso, saporito, da leggermente piccante per il Vecchio al decisamente piccante per lo Stravecchio.
Tosela
Formaggio freschissimo, caratteristico dell'altopiano, da consumare entro pochi giorni.
Va fritto leggermente nel burro, molto lentamente fino a rosolarlo.
E' obbigatorio accompagnarlo alla polenta.
Pennarone Pennar
Formaggio dolce a latte intero dal sapore delicato nato dall'esperienza del Caseificio Pennar.
Grana Padano
Arriva a 24 mesi di stagionatura.
Consorzio produttori latte e Caseificio Sociale Pennar, in Asiago dal 1927
In via Pennar lo spaccio adiacente il caseificio.
L'Asiago del Pennar si riconosce per la sigla "VI 102" mentre il Grana Padano ha la sigla "VI 605".
L'altopiano produce anche altri tipi di formaggi
L'Enego, dalle caratteristiche simili all'Asiago classico e il pregiatissimo
Vezzena assimilabile al grana, ma molto più saporito e dal gusto decisamente forte per lo stagionato, tanto da essere utilizzato un tempo come formaggio da grattugia.
mais Marano, mais Sponcio, mais Biancoperla
per i Veneti el Formenton o la Poenta
Il mais è una pianta graminacea
(Zea mays L.) conosciuta anche con i nomi di granoturco, formentone, meliga, importata in Europa con la scoperta dell'America.
E' il risultato di selezioni ed incroci praticati dalle popolazioni dell'America Centrale fin dalle primitive fasi dell'agricoltura organizzata.
Deriva dalla pianta chiamata 'Teosinte', ancora presente allo stato selvatico in Messico.
Divenne la cultura fondamentale delle grandi civiltà americane, quali i Maya, che ne coltivavano diverse varietà.
Importato dapprima in Spagna, si diffuse in Europa fin dai primi decenni del cinquecento.
Verso la fine di quel secolo la coltivazione si diffuse notevolmente anche nel Veneto e nel Friuli, soppiantando altre specie di cereali meno produttive e delicate, quali il sorgo, il miglio, il grano saraceno, la segale, diventando il cibo tipico delle popolazioni povere.
Restò infatti per lungo tempo una coltivazione orticola legata alla produzione familiare, destinata al consumo diretto, sfruttando i piccoli appezzamenti marginali ai grandi latifondi, spesso concessi 'a mezzadria' ai lavoratori agricoli più poveri.
Nei geni delle popolazioni venete e friulane è ancora 'presente' l'incubo della 'Pellagra' la malattia dovuta ai forti squilibri alimentari, un'alimentazione di sola polenta con poco, quasi prezioso, condimento.
E' dall'ottocento, e soprattutto dai primi del novecento, che la coltivazione del mais assume importanza economica con coltivazioni estensive.
La coltivazione, fino alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso (ed anche negli anni sessanta tra i contadini più poveri), avveniva totalmente con lavoro manuale, dalla semina, alla sarchiatura ('sapare'), alla cimatura ('ndar a far sime - per l'alimentazione bovina - pratica attualmente del tutto sconosciuta) e, naturalmente, alla raccolta delle pannocchie che generalmente venivano conservate intere e 'sgramolate' (sgranatura) all'occorrenza.
Nell'ottocento in tutta la pianura padana si diffuse la pratica della mezzadria, conosciuta anche come 'diritto di zappa' con la quale i salariati, inizialmente, avevano diritto a mezzo ettaro di terreno con l'obbligo di dividere a metà il raccolto con il padrone.
Poi la pratica diventò una forma contrattuale che si allargò praticamente a tutta l'azienda, una specie di affitto con pagamento, in parte, in natura.
Soluzione diffusa soprattutto nell'alta pianura con il contadino 'coltivatore diretto', mentre nella bassa pianura alluvionale (Polesine) rimasero i grandi latifondi con numerosi salariati.
Nelle zone collinari accentuate, nelle scarpate più basse delle zone montuose e nei fondovalle, la coltivazione del mais fu sempre di tipo 'orticolo' al solo scopo di produzione per usi familiari.
Le pannocchie intere, intrecciate con '
lo scartoxo', venivano messe ad essicare nei ballatoi delle case su apposite aste a formare bellissimi effetti decorativi.
I 'boto
li' (torsolo o tutolo) venivano utilizzati per il fuoco della 'cucina economica', già roba da ricchi perché i più poveri vivevano in case (
casoni) nei quali spesso non esisteva nemmeno il locale 'cucina'.
Le foglie tenere che rivestono la pannocchia veninano utilizzate per confezionare il materasso: 'el stramaxo de scartoxi'.
E forse qualcuno ricorda cose del tipo: 'stramaxo de scartosi' e 'munega' per le nottate invernali più fredde nelle quali perfino i vetri interni delle camere diventavano ricami... di ghiaccio.
Sarà stata anche vita grama, però quanta nostalgia di quel calore indescrivibile della 'munega', il cavalletto a forma di slitta che teneva sollevate le coperte e racchiudeva il bracere di terracotta.
Come per il maiale, anche per il mais non si buttava via niente.
Dopo il secondo dopoguerra, con la diffusione di ibridi più produttivi e, soprattutto, la meccanizzazione, la produzione nella campagna di pianura divenne di tipo industriale con rese decuplicate, ma pure con il deleterio effetto di concentrare l'attenzione su poche varietà ed enormi monoculture, impoverendo la biodiversità.
Esistevano infatti numerose varietà rustiche delle quali si salvano poche specie relegate a coltivazioni di nicchia e parzialmente riscoperte per l'agricoltura 'biologica'.
Tra esse molto interessanti sono il
mais Marano, il
mais Sponcio e, un tempo diffusissimo, il
mais Biancoperla per la produzione della 'poenta bianca' più delicata della 'xa
la' (gialla) ora la più consumata, ma al tempo considerata più rustica o contadina (...più da poveri, come se chi mangiava la bianca fosse... un tono più ricco).
La gialla veniva generalmente utilizzata per il pasto degli armenti, in particolare del maiale.
mais Marano
Varietà selezionata con incroci tra varietà locali verso la fine dell'ottocento da Antonio Fioretti, un agricoltore di Marano Vicentino.
Per i tempi era un ottimo prodotto e la coltivazione si diffuse grandemente nel Veneto e nel Friuli.
E' un ibrido precoce con un ciclo vegetativo di 105 giorni.
La pianta ha una altezza relativamente bassa, sui 2 metri, con generalmente due pannocchie lunghe fino a 20 cm.
La granella è giallo-dorata/arancione uniforme di aspetto vitreo-lucido molto piccola, disposta in file a leggera spirale sul tutolo bianco.
La coltivazione, attualmente, si adatta bene agli ambienti marginali collinari e di fondovalle, ed è particolarmente apprezzata per il metodo biologico, trattandosi di pianta rustica e dalle parsimoniose esigenze.
La resa è sui 40-50 quintali/ettaro.
E' un prodotto ancora molto apprezzato, in particolare nella fascia pedemontana vicentina (Marano Vicentino), dove la farina viene utilizzata per la preparazione dell'ottima polenta.
La granella è particolarmente sostanziosa e per questo motivo viene anche utulizzata, a livello familiare, per il nutrimento del pollame in quanto conferisce qualità al tuorlo d'uovo e alle carni.
mais Sponcio
Varietà coltivata quasi esclusivamente nelle vallate bellunesi, dove è conosciuta come Rostrato o Pignol Fiorentino.
La forma del seme presenta una caratteristica punta, da cui 'rostrato'.
Anche il termine dialettale 'sponcio' ricorda questa caratteristica (sponciare=pungere).
Il ciclo vegetativo è precoce, sui 110 giorni, la pianta è bassa e non raggiunge i 2 metri, con anche 2 spighe piccole che non raggiungono i 20 cm.
Si differenzia in alcune varietà ancora coltivate: Pignol Fiorentino dal tutolo bianco, lo Sponcio di Cergnai dal tutolo rosso e l'Ungherese, anche miscelate tra di loro.
La granella è di colore arancione tendente al giallo, dall'aspetto vitreo.
E' una pianta molto rustica che si adatta agli ambienti montani marginali fino al limite fisiologico vegetativo, per questo motivo molto utilizzata nei terrazzamenti delle vallate bellunesi, la produzione è limitata a 40 quintali/ettaro.
Zona di produzione tipica è la Valbelluna, in particolare sulle alture della pedemontana Feltre-Cesiomaggiore-Sospirolo.
Pregiata la produzione di Cergnai, tra i comuni di Santa Giustina Bellunese e Cesiomaggiore, protetta dal marchio Deco (Denominazione di Origine Comunale), anche in coltivazioni biologiche.
La farina è apprezzata quasi esclusivamente per la preparazione della polenta, tipico alimento bellunese da accompagnare al 'pastin' (hamburger di carni miste speziate) e allo 'schiz' o 'tosela' (formaggi fusi).
mais Biancoperla
Varietà conosciuta fin dal '600, chiamata 'sorgoturco bianco'.
Era la tipica coltivazione della pianura alluvionale veneta e friulana, finalizzata al consumo alimentare.
Oltre all'aspetto agronomico favorevole, veniva preferita per motivi 'antropologici-culturali' per via della farina 'bianca', simile al sorgo (sorgo=frumento, sorgoturco=mais) da preferire alla gialla, sempre per la preparazione della polenta, che connotava in maniera inquivocabile il 'mangiatore di polenta', sinonimo dispregiativo di contadino.
E per associazione 'poentòn' ad indicare (specie a scuola tra ragazzi) una persona un po' 'tonta' (si direbbe ora imbranata) il cui orizzonte culturale non si estendeva oltre il campo da zappare.
La farina 'bianca' venne più volte bandita dal governo della Serenissima, per evitare facili adulterazioni da parte dei mugnai.
E, un tempo, mugnaio era sinonimo di 'furbacchione', cosa ben più evoluta dai 'furbetti del quartierino'.
Il risultato fu l'opposto di quanto si mirava, la scarsità elevò il prodotto a prezioso alimento da cittadini (abitanti in città) ricchi.
La varietà del Biancoperla si differenzia in due gruppi principali e sottovarietà come la 'righetta del Piave', molto diffusa nel Veneto orientale e nel confinante Friuli.
E' una varietà medio-tardiva con ciclo vegetativo di 120 giorni.
La pianta raggiunge anche i 2 metri e mezzo d'altezza, con una singola spiga (panocia) di 25 cm. e semi (granea) di colore biancastro-perlaceo semivitreo.
La polenta prodotta con farina bianca è particolarmente indicata in abbinamento con piatti di crostacei e pesce povero, sia esso di mare, laguna o fiume, quali 'marson', 'lamprena', 'truta', 'schie', 'moeche', 'masenete'.
E, naturalmente, molto apprezzata la 'poenta e baca
là' (stoccafisso), un tempo cibo da poveri con importante apporto proteinico (...non comunque da poverissimi, che optavano per la 'poenta e sarde
la' anche nel senso di unica sardina alla quale tutti 'tociavano' (intingevano) la loro fetta di polenta).
Ora la polenta col baccalà è un piatto rinomato e pregiato, e costoso.
La farina di Biancoperla è iscritta all'Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali.