Il fronte dolomitico e l'Ecomuseo della Grande Guerra in Dolomiti
Il sistema difensivo dell'area dolomitica, concepito nell'ottocento con un sistema di fortezze fisse, venne completato nei primi anni del novecento e dimostrò fin da subito l'inefficacia e la fragilità dei concetti difensivi ottocenteschi (per non dire medioevali), più utili al controllo di transiti commerciali che a vere e proprie difese pesanti da (inesistenti) aggressioni militari di grande portata.
Bruciavano ancora le umiliazioni napoleoniche e su quel concetto di difesa vennero effettuate grandiose opere in quota, per il controllo di strade e passi naturali.
Per i paesi, e le popolazioni locali, la gran quantità di denaro speso per le opere di difesa fu un buon volano economico, pur con numerose problematiche collaterali.
L'Italia, e il suo esercito, erano elementi estranei e lontani e poco importava se l'invasore fosse l'Austria o l'Italia.
Si viveva di economia e forte solidarietà montanara, fulcro della civiltà erano le Regole Cadorine, Ampezzane e Ladine che cementavano identità molto forti e solidarietà comune nella gestione del territorio.
Forse si guardava ancora con molta nostalgia alla Veneta Serenisima Republica, che ebbe la sua forza proprio nel rispetto di una forte autonomia e identità locale.
Grandissimo segno di civiltà straordinariamente corrisposto dalle popolazioni cadorine.
Nell'ottocento, con il dominio austro-ungarico dapprima e italiano poi, si passò bruscamente ad un sistema-stato fortemente centralizzato, con il risultato di grandi scompensi che impoverirono e portarono alla fame questi delicati territori, attuatasi con l'emigrazione di centinaia di migliaia di abitanti.
In realtà l'Italia non aveva particolari motivi per temere invasioni dall'Austria.
In particolare tra le alte montagne dolomitiche, anche se estremamente complesse quanto a vie di transito e passi, da sempre luoghi osmotici di civiltà e scambi commerciali, vero miscuglio di lingue e culture.
Erano passati solo pochi decenni dall'Unità d'Italia con l'acquisizione di vasti territori che furono per secoli domini della Serenissima o addirittura Imperiali.
L'Austria si preoccupò principalmente di difendere Trento, il terretorio più esposto e ambito dall'Italia, con la cintura fortificata di Trento.
Ma lasciò, quasi completamente sguarnito tutto il settore delle Dolomiti, confidando in seconde linee (per la maggior parte solamente abbozzate) sulle cime più arretrate, in posizione dominante e, soprattutto, sulla neutralità dichiarata dall'Italia.
All'entrata in guerra dell'Italia, l'Austria era già da un anno impegnata nel fronte orientale e tutto il settore centrale delle Dolomiti e l'Ampezzano erano praticamente sguarniti, con solamente poche centinaia di uomini a presidiare il confine nelle principali vie stradali di transito.
Gli italiani ebbero strada facile nel conquistare Cortina d'Ampezzo, ma indugiarono e persero i tempi concreti per una rapida avanzata che avrebbe ottenuto risultati imprevedibili.
Gli imperiali posero in brevissimo tempo rimedio arroccandosi e scavando trincee nelle migliori posizioni delle cime dolomitiche.
Ora sappiamo come andò a finire dopo la disfatta di Caporetto, sfociata nell'arroccamento sulla linea del
Piave e del Grappa, con il ritiro di tutte le truppe dalle Dolomiti per schierarle sul Grappa.
In realtà nulla di nuovo come insegnano le guerre già in epoca romana e soprattutto le invasioni barbariche, fino alle incursioni ottomane cinquecentesche.
Cosa che lo stesso Cadorna aveva in parte previsto, come dimostrarono i preparativi e le opere sul Grappa iniziati già prima dello scoppio del conflitto.
i confini nelle Dolomiti ed in Cadore allo scoppio del conflitto, già confini della Serenissima
L'articolatissima, complessa e lunghissima area dolomitica o meglio la fronte dolomitica, intendendo con questo termine la zona che dalla Valsugana arriva alle sorgenti del Piave, all'incirca (ma non esattamente, si pensi a
Cortina d'Ampezzo) sulle attuali linee di confine regionale Veneto-Trentino-Alto Adige, comprendente oltre alle vere e proprie Dolomiti anche catene montuose quali il Lagorai non propriamente dolomitico, da parte italiana era denominata regione fortificata del Bellunese, mentre da parte austroungarica era suddivisa nei 'Festungzabschnitt' (settori) IV e V della terza 'Rayon' (regione) fortificata, denomintata 'Sud Tirol' (o Tirolo meridionale).
fortezze, opere fisse e campi trincerati
Escludendo lo '
sbarramento Brenta-Cismon' tra le provincie di Belluno e Vicenza (trattato a parte), i punti focali erano
Fin dall'inizio del conflitto le fortezze furono declassate strategicamente e non ebbero ruoli, tranne sporadiche azioni nella ritirata dopo Caporetto.
La maggior parte venne disarmata ed utilizzata come riferimento logistico e depositi.
In buona sostanza le opere militari di inizio secolo furono un enorme spreco di denaro pubblico e a nulla servirono nello svolgimento della grande guerra, come ben sappiamo col senno di poi.
Ci resta la consolazione che molti di questi impianti si prestano alla 'riconversione' turistica e permettono di raggiungere facilmente luoghi interessanti, ancora integri dal punto di vista naturalistico-ambientale e, soprattutto, molto panoramici.
principali zone teatro di combattimenti
Nonostante le opere fisse, di concezione ottocentesca, la guerra divampò in maniera totalmente diversa da quanto immaginavano gli strateghi militari e le fortezze militari costruite con grandissimo impegno (o spreco...) di denaro pubblico furono inutili.
La grande guerra fu guerra di 'nuove' tecnologie, di posizione, statica per gli scavi di trincee e gallerie di mina, e allo stesso tempo estremamente dinamica (per i concetti dell'epoca).
Di grandi eroismi e di grandi massacri.
Quanto alle aree, nelle Dolomiti, che ebbero ruoli attivi importanti durante la grande guerra, sono da focalizzare
- Dolomiti di Sesto: monte Piana, Lavaredo, Cadini di Misurina, Croda dei Toni, Popera, Croda Rossa di Sesto
- Dolomiti d'Ampezzo: Tofane Travenanzes, Lagazuoi Fanis, Croda Rossa d'Ampezzo
- Averau-Nuvolau Cinque Torri, monte Rite
- gruppi Col di Lana Sief, Sass de Stria SetSass, Pralongià Cherz
- Marmolada, Ombretta, catena Mesola-Padon-Migogn
- catena delle Pale di San Martino-San Lucano
- catena del Lagorai Cima d'Asta
principali luoghi d'interesse
vedi anche
i sistemi fortificati del Centro Cadore
Il Centro Cadore, l'Oltrepiave, il Comelico e la Val di Zoldo furono interessati dalla cosidetta 'Fortezza Cadore-Maè' (o ridotto Cadorino), integrato nella regione fortificata del Bellunese, comprendente anche la 'Fortezza Cordevole' nell'agordino, un sistema militare con forti corazzati, caserme in quota, postazioni d'osservazione, campi trincerati, strade di collegamento, impianti di comunicazione centrali elettriche e centri di comando, funzionali alla difesa del confine nord-orientale, totalmente scoperto all'annessione del Veneto all'Italia (1866).
Il sistema, concepito già nell'ottocento, venne completato nei primi anni del novecento e dimostrò fin da subito l'inefficacia e la fragilità.
La strategia prevedeva anche un concetto offensivo, la 'Fortezza Cadore' doveva servire come base logistica per l'aggressione delle vie di comunicazione imperiali quali la Val Pusteria e Fortezza (Franzenfeste) in modo da tagliare il rifornimento del 'saliente' Trentino, vero incubo degli alti papaveri militari italiani, ed anche le comunicazioni del Tagliamento-Isonzo verso il Friuli.
fasi costruttive e opere militari realizzate
- sbarramenti della Serenissima: 'Chiusa di Venas' e 'Chiusa di Lozzo', sbarramenti stradali del 1500 e 1700
- prima serie di modeste difese subito dopo l'annessione del Veneto all'Italia: postazioni dei Colli di Vigo atte a battere la strada di Treponti-Cima Gogna
- 1880: sbarramento di Pieve di Cadore e Tai di Cadore, con i forti Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vacher
- 1882-1896: completamento delle opere di Pieve di Cadore e opere accessorie a formare il 'Campo Trincerato di Pieve di Cadore'
- 1896: fallimentare guerra di Adua che assorbe voragini di denaro pubblico, con conseguente ridimensionamento delle spese militari in Cadore
- dal 1904: nuovo impulso con la concezione di fortezze corazzate con cannoni su cupole girevoli, concretizzatesi con
- due opere 'basse' a Col Piccolo di Vigo e a Pian dell'Antro di Venas, con compiti direzionali
- tre opere 'alte' al Monte Tudaio, al Col Vidal e al Monte Rite
- opere minori o accessorie e osservatori quali la Caserma Miaron alla Mauria, a Col Pradamio presso Longarone
Allo scoppio del conflitto la 'Fortezza Cadore-Maè' disponeva di una settantina di ufficiali, di circa 4000 uomini di truppa, di quasi un centinaio di pezzi d'artiglieria pesante.
Fu interessata solo marginalmente da operazioni belliche, sviluppatesi nelle Dolomiti centrali e nel Carso, e tutta l'area venne velocemente abbandonata con gli avvenimenti di Caporetto.
approfondimenti
la "Fortezza Cordevole" e l'Agordino
E l'altro tassello della regione fortificata del bellunese.
Vennero costruiti fortini e tagliate stradali attorno ad Agordo...
fasi costruttive e opere militari realizzate
approfondimenti